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giovedì 28 febbraio 2013

NEL MIO MONDO DEI SOGNI 2


<I sogni sono troppo affascinanti per non indagare su di loro e per non usarli nella propria realtà >.






Secondo la psicologia, sognare fa bene al cervello per la stimolazione di una serie di funzioni legate ai ricordi ed alla memoria. Sognate sereni quindi, e se il sogno non è piacevole.... prendete coscienza che state aumentando le performance del vostro cervello ;) 


mercoledì 27 febbraio 2013

... SEI UN BASTARDO ....







carlacasula.scrivere.info


Il commissario Malavasi era voltato verso la finestra e stava dando le spalle al suo vice mentre lo relazionava sulle ultime novità relative alla loro indagine in corso. Si voltò e si mise a sedere, poi tirò fuori una sigaretta dal pacchetto che era sulla scrivania e l’accese in barba al divieto di fumare che vigeva in tutti gli uffici e che era attaccato al muro in bella vista. 
- Piantala Giorgio!! .. Prima o poi ti beccheranno .. Non puoi fare sempre come ti pare .. C’è una legge che lo vieta .. Ci sono delle sanzioni .. Non puoi comportarti sempre come se tutto quanto fosse il tuo personale parco giochi … Ci sono delle regole delle … - 
Lui gli sorrise furbo con espressione canagliesca. 
- Fanculo alle regole ed alle leggi .. E’ il mio ufficio e ci faccio quello che mi pare … - 
Lucio scosse la testa rassegnato. Ormai era un caso disperato, una partita persa in partenza. 
- Sei uno stronzo – disse cercando di essere duro 
- Una descrizione pressoché perfetta - sottolineò una voce femminile molto calda 
Lucio si voltò di scatto e Malavasi tirò giù i piedi che aveva appena poggiato sulla scrivania. 
- Letizia … - riuscì a dire senza far tremare la voce. 
La ex moglie se ne stava sulla soglia con le braccia incrociate sul petto e sorrideva sprezzante 
- Disturbo il vostro scambio di battute da super- macho? – 
Lucio avvampò. Lei lo aveva sempre messo in soggezione sia per la bellezza che per l’acume. 
- Affatto! Le nostre perle di saggezza ce le siamo già scambiate .. Qual buon vento? Non credevo ti ricordassi dove lavoro .. – 
Lucio gli lanciò un’occhiata ammonitrice e lui annuì sorridendo furbo. 
- Finiamo dopo Lucio … - 
- E’ stato un piacere vederti – le disse con evidente imbarazzo. 
Il fatto che si fossero visti qualche giorno prima in tribunale e che lui lo avesse detto all’amico lo fece sentire fuori posto, come se avesse tradito uno dei due o forse entrambi. A Giorgio non aveva fatto piacere sapere quello che lui aveva visto, anche se forse già lo sapeva. 
- Anche per me – rispose lei sorridendogli gentile - … E se posso darti un consiglio non farti mettere i piedi in capo. E’ solo un gradasso. Cerca di ridimensionarlo, non gli farà che bene – 
- Ci proverò – concluse frettolosamente
e salutando si allontanò veloce, sicuro che di lì a poco si sarebbe scatenata la bufera. 
Adesso erano soli nell’ufficio e si guardarono con sfida. La trovò bellissima, come sempre del resto. Il pensiero che lei se la facesse con quel damerino dell’avvocato Manetti lo offese. Come era potuta cadere così in basso? Sapeva di peccare di presunzione, ma non poteva farne a meno. Dopo cinque anni di matrimonio sapeva bene cosa volesse sua moglie da un uomo e quel fantoccio incravattato non era di certo all’altezza dei suoi formidabili standard. 
- Cosa vuoi Letizia? .. Ti ho già dato tutto. Io ho firmato, tu hai firmato, gli avvocati si sono stretti la mano. Amici come prima .. – 
- Sei il solito stronzo! .. Lucio ha ragione, sei un bastardo figlio di puttana .. – 
- E hai fatto tutta questa strada per ricordarmelo? Non c’era bisogno, me lo ricordo ogni giorno da solo guardandomi allo specchio – 
Lei lo fissò con rancore e si spostò una ciocca ribelle dietro l’orecchio. Malavasi trasalì. Quel gesto in lei era sempre stato molto sensuale, anche adesso che era evidentemente sul piede di guerra, aveva quel modo di muovere le mani che gli rimescolava il sangue. 
- Volevo solo dirti che adesso frequento una persona. Verresti comunque a saperlo. Gradirei ti astenessi da commenti e colpi di testa come tuo solito. E’ come hai detto tu, amici come prima, ognuno per la sua strada – 
Lui la guardò dritta negli occhi e lei provò uno strano turbamento. Non si sentiva più tanto decisa e spavalda come quando era entrata in quell’ufficio. 
- Potevi evitare il viaggio lo stesso – disse lui con sguardo duro - .. Lo sapevo già .. E non è da adesso che lo frequenti. Ti ha tenuto la mano prima, durante e dopo. Trovo assurdo che tu venga a dirmelo adesso. Hai la coscienza sporca Letizia? Io non ti ho mai tradito e lo sai bene … - 
Divenne paonazza e sentì il terreno franarle sotto i piedi. Cosa poteva pretendere? Lui era il commissario Malavasi, la leggenda, lo sceriffo. Era ovvio che sapesse. Lei aveva sperato che sapesse, ma lui non aveva mai detto nulla. Nulla fino ad ora, con ben sei mesi di ritardo. 
- Cosa stai insinuando? – rispose per ripicca 
- Io non insinuo nulla .. Io constato. Sapevo che mi tradivi, ma non ho voluto indagare oltre. Avrei potuto mettermi a picca con gli avvocati e non darti nulla, ero io la parte lesa. Ma siccome ti ho amata e non ho smesso di farlo ho voluto essere generoso. Non mi volevi più? Ti eri stancata di me e del mio lavoro, che comunque non ti faceva mancare nulla? .. Va bene! .. Mi sono accollato anche questo ennesimo fallimento. Sinceramente, però, speravo che tu lo avresti apprezzato ed invece vieni qui a fare la sceneggiata come se la vittima fossi tu! Sappi che a quel bastardo dell’avvocato Manetti avrei spaccato e spaccherei molto volentieri la faccia. Come avvocato vale zero! Ha vinto perché ho voluto che così fosse, per rimanere in buoni rapporti. Ma tu hai fatto e continui a fare l’offesa. Piombi qui a sbattermi la tua relazione in faccia come se fosse una rivincita. Mi hai deluso Letizia, molto. Sei davvero caduta in basso portandoti a letto un simile perdente – 
Lo fissò a bocca aperta. Aveva immaginato una reazione violenta, ma non una cosa del genere. Le sue guance erano in fiamme e nei suoi stupendi occhi verdi la rabbia divampò affiancata dall’umiliazione. 
- Non hai qualche frase sarcastica per mettermi a posto? – incalzò lui 
- Tu! .. Tu non hai il diritto!! … - 
- Hai ragione non ce l’ho! L’avevo, ma l’ho perso … Non ti ho dato quello che volevi, ma non per disinteresse. Io amo il mio lavoro, l’ho sempre fatto al meglio. Ho sempre creduto che tu ne fossi orgogliosa .. Ma mi sbagliavo. Infondo le donne non le ho mai capite. Non sono mai stato un tipo da cene a lume di candela e serate al teatro, quando mi hai sposato lo sapevi. Non potevi sperare di cambiarmi! – 
Le vide gli occhi diventare lucidi. Era rabbia? Era disperazione? Erano entrambe? Lui l’amava ancora. Perché diavolo si era rifatta viva? Avrebbe voluto cacciarla a calci ed allo stesso tempo stringerla tra le braccia. 
- Perché non me lo hai mai detto? … - disse lei in un soffio 
- Credevo lo avessi capito .. – 
Silenzio. Teso e pesante. 
- Frequenti qualcuna? – 
- Tutte quelle che mi capitano a tiro e che me la sventolano in faccia .. E sono molte credimi … Ma non frequento nessuna. Non mi è mai interessato frequentare altre oltre te .. Nemmeno adesso – 
- Sei un bastardo! – urlò lei senza più argomenti 
- Perché ti amo ancora? .. Allora hai ragione, sono un bastardo .. – 
- Se sapevi che ti tradivo perché non hai fatto nulla per riprendermi? Potevi prendermi a sberle, urlarmi in faccia il tuo disprezzo! Tutto sarebbe stato meglio del tuo silenzio!! – 
Si alzò di scatto sentendosi vicino a perdere il controllo. Se rimaneva ancora lì non avrebbe più risposto di sé. 
- Stavo male Letizia!! .. Soffrivo come un cane .. Ti vedevo lontana, ormai irraggiungibile!! .. Hai ragione ho avuto paura, paura di farmi vedere ferito e vulnerabile .. Non è servito nascondermi, ti ho persa comunque … La colpa è anche mia non lo nego! – 
Aveva gli occhi lucidi e le tremavano le labbra e quando le tremavano le labbra non era mai un buon segno. Le fissò. Ricordi roventi erano associati a quelle labbra piene e perfette. Cercò di scacciarli, non era certo quello il momento di pensarci, anche se il suo corpo lo aveva già fatto e sentiva l’eccitazione salire come una febbre. Si voltò verso la finestra e contò fino a dieci. Servì a poco, ma riuscì comunque a riprendere un po’ il controllo. Si voltò di nuovo, piano. Le labbra erano sempre lì tremanti e invitanti. 
- Cerchiamo di calmarci va bene? .. Prendo atto della tua nuova relazione. Non la approvo e mi ferisce. Mi ha ferito prima e continuerà a farlo. Siccome, però, siamo persone adulte e responsabili farò finta che mi vada bene e farò anche finta di essere felice per te! … Ecco sei contenta? Era quello che volevi da me no? Per questo sei venuta! – 
- No!! .. Cioè sì! .. Tu .. Tu .. Perché continui a sconvolgermi la vita? – 
- Perché sono un bastardo .. Lo hai detto anche tu! – 
Le belle labbra si serrarono e si piegarono in modo minaccioso, nei suoi occhi la tempesta divampò violenta. Lui desiderò che si abbattesse travolgendolo, facendogli male. Se lo meritava. 
- Ti odio Giorgio Malavasi!! … Ti odio!! – 
Si voltò di scatto ed uscì cercando di non mettersi a correre. 
Malavasi crollò sulla poltrona di pelle maledicendosi. Era sfinito come dopo un kumitè. Perché le aveva detto quelle cose? Perché le aveva detto la verità? Non né aveva il diritto. Avrebbe dovuto tacere. Ma lui era un bastardo numero uno e non poteva farci nulla. L’amava ancora e avrebbe fatto di tutto per riaverla anche e soprattutto giocare sporco. A lui riusciva benissimo. 
Lucio si affacciò allarmato. 
- Cosa diavolo le hai fatto? .. Piangeva disperata .. – 
- Le ho detto solo la verità – disse guardando la sigaretta che si stava consumando abbandonata nel posacenere - Le ho detto che l’amavo ancora, cosa dovevo dirle? –
- Tu non sei normale! .. Quelle cose dovevi dirgliele prima della separazione, non dopo sei mesi! Ma cosa ti dice la testa? – 
Nulla. La testa non gli diceva nulla soprattutto perché a parlare era stata un’altra parte del corpo, ma non era certo di quale fosse stata, se il cuore o qualcosa sotto la cintura. Forse entrambe o forse no. Era confuso, molto, ed a lui capitava di rado. Solo Letizia aveva il potere di confonderlo e non l’aveva perso. 
La sua vita stava bruciando senza rimedio e senza controllo, come quella sigaretta abbandonata nel posacenere. Con tutti i casini che aveva, ci mancava anche Letizia con il suo fottuto avvocato. 
La giornata passò male ed in modo burrascoso per i poveri collaboratori del commissario. E quando finalmente lui lasciò l’ufficio tutti tirarono un sospiro di sollievo. Tutti tranne Lucio che sapeva benissimo che il suo superiore, nonché amico, sarebbe andato a finire quella giornata del cavolo dentro qualche locale di tendenza cercando alcool e facili compagnie per dimenticare. 
Malavasi uscì dal bar sentendosi un po’ malfermo sulle gambe. C’era andato pesante, non era sicuro di riuscire a guidare la moto. L’incontro con Letizia avuto quella mattina lo aveva profondamente sconvolto. Quella donna aveva il potere di confondergli le idee e di renderlo un vero idiota. Il profumo dei tigli sul viale dava alla testa, di notte aumentava fino a stordire. Si trascinò fino alla moto e la guardò con sfida. Chi fra loro avrebbe vinto? Fece due profondi respiri e gli sembrò di essere più saldo sulle gambe. Montò a cavallo della sua Ducati e s’infilò il casco. Non era certo la prima volta che guidava in quello stato, ce l’avrebbe fatta anche stavolta. Mise in moto e partì. Le vibrazioni gli dettero una strana sensazione, come se qualcosa fosse entrato in circolo nel suo sangue oltre all’alcool. Dette gas e sfrecciò sui viali facendo lo slalom tra le auto. La moto andava da sola. Fece un paio di manovre da brivido e più di una volta rischiò un frontale con le auto che venivano dalla direzione opposta. Non sentiva nulla. Niente paura, niente emozioni. Era pericoloso, lo sapeva. Quando aveva quei balck-out avrebbe potuto fare di tutto. Impennò la moto e quando la ruota toccò di nuovo terra sgassò a tutta manetta facendola sbandare paurosamente. La riprese e s’infilò nel tunnel. Le luci scivolavano sul suo casco e sul serbatoio della moto come stelle cadenti. Lui stesso era una stella cadente, non poteva fermare la sua parabola. Uscì dal tunnel a più di 100 km all’ora dove avrebbe potuto andare solo a 50 km orari. Dove stava andando? Lui non lo sapeva ma la moto sì. Dopo aver attraversato mezza città come un folle, inchiodò la moto in un’elegante strada residenziale davanti ad una bella villetta a due piani con giardino. Si alzò la visiera del casco e guardò imbambolato il portoncino verde con la maniglia dorata. Era casa sua. Cazzo!! Quella era stata casa sua. Era davanti alla villetta che aveva lasciato a Letizia nel suo generoso accordo per la separazione consensuale. Come ci era finito? Le luci in sala erano accese mentre al piano di sopra era tutto spento. Aveva ospiti? Era sola? C’era quello stronzo di Manetti? Decise che non gliene fregava nulla. Si tolse il casco e lo poggiò sul serbatoio della moto, scese e si fermò davanti al cancelletto. Era chiuso, ovviamente. Lo scavalcò con facilità e salì i tre gradini che separavano il vialetto dalla soglia di casa. Bussò sbattendo con forza l’elegante battente in ottone a forma di ferro di cavallo. Un pensiero fugace gli attraversò il cervello. Che ore erano? Non lo sapeva e non gli importava. Infondo ad un bastardo poco importa che ore sono, e poco importa quello che sta facendo. Bussò ancora ed alla fine la porta si aprì. La faccia stralunata ed imbarazzata dell’avvocato Manetti lo guardò. Malavasi sorrise. Aveva fatto bingo. Sentì la voce di Letizia chiedere chi fosse. Era come il canto delle sirene, ammaliante ed irresistibile. Doveva entrare e vederla, infondo era lì per quello. Non gli diede il tempo di rispondere e gli sferrò un gancio cattivo che lo fece voltare e sbattere con la faccia contro lo stipite della porta. L’azzimato avvocato Manetti si accasciò a terra senza emettere un gemito. Malavasi pensò che era un vero coglione. Lo scavalcò senza preoccuparsi di chiudere la porta. Entrò in salotto. Lei era sul divano con un calice di vino rosso in mano. Indossava attillati pantaloni modello Capri ed una maglietta con un generoso scollo a V che metteva in mostra tutto il suo notevole repertorio. Lo schermo piatto da 50 pollici HD trasmetteva le immagini di un film americano anni ’60. Gli sembrò di riconoscere gli attori. Un George Peppard giovane ed in forma smagliante flirtava con un’affascinante e fragile fanciulla dagli occhi da cerbiatta. Come s’intitolava? Letizia adorava quel film, lo avevano visto un sacco di volte. C’entrava un pranzo, no una colazione. Nel suo cervello rallentato dall’alcool, mentre lo sguardo passava dallo schermo al suo scollo provocante, si accese una lampadina: Colazione da Tiffany. Lei lo stava guardando sconvolta. Portava al collo il costoso pendente con solitario su oro bianco che le aveva regalato per Natale. Un Natale remoto, lontano nel tempo e nel cuore. Lo aveva comprato proprio da Tiffany quando era dovuto andare a NY per un aggiornamento con l’Interpol. Era stato scelto per i suoi indiscussi meriti e perché parlava l’inglese come l’italiano. Letizia si alzò di scatto ed un po’ di vino si rovesciò sul tappeto. Si guardarono e lui la trovò bella oltre ogni ragionevole dubbio. Come cazzo aveva fatto a rinunciare a lei? 
- Giorgio! – urlò spaventata e forse anche un po’ arrabbiata 
Non doveva essere una visione rassicurante, se ne rendeva conto. Cercò di darsi un contegno. Cosa stava facendo in quella casa? Era ubriaco, non c’era dubbio. 
- Mi dispiace … il tuo pagliaccio domani avrà difficoltà a parlare. Gli ho dato un assaggio del mio famoso gancio destro – 
Lei poggiò il calice sul tavolino davanti al divano con mano tremante. La luce soffusa che c’era nella stanza la rendeva quasi irreale e quel maledetto solitario mandava bagliori ipnotici. 
- Sei ubriaco .. – non lo aveva domandato 
- Si nota così tanto? – rispose con un sorriso sciocco sulla faccia 
- Come sei arrivato qui? – 
- In moto … Anzi a dirla tutta è stata la moto a portarmi qui, guidava lei .. Non chiedermi come sia stato possibile, ma è successo .. – 
- Perché sei venuto? – 
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Già perche? Non doveva chiederlo a lui ma alla moto. Guardò di nuovo il pendente adagiato poco sopra il solco dei seni. Quella pelle morbida e setosa che gli toglieva il respiro, la curva del seno che si alzava e si abbassava, come quando lei ansimava sotto di lui. Alle ore più assurde, quando la voglia li coglieva, quando lui era disponibile. Il suo sguardo si cibava di quel corpo fantastico e lei non si sottraeva. Mai. Gli girò la testa, come la prima volta. Un apoteosi di sensazioni e di emozioni, il desiderio lo aveva travolto ed era andato oltre. Oltre le convenzioni, oltre il buon senso, oltre la decenza. Una notte di primavera, esattamente come quella, iniziata in modo anonimo e finita in paradiso. Sentì l’eccitazione salire come una febbre, come quella notte, ma questa volta lei non lo guardava con la lussuria negli occhi, non si offriva sensuale e sfacciata provocandolo. Perché era in quel maledetto salotto con George Peppard che nudo nel letto si faceva lasciare i soldi sul comodino da un’elegante tardona? Lui non aveva mai pagato una donna per averla e non si era mai fatto pagare. Lui respirava il sesso, lo aveva nello sguardo, nel sangue. Letizia era come lui. Cosa ci faceva con uno come Manetti? 
- Per impedirti di scopare con quello stronzo .. – mormorò con voce impastata 
La vide sussultare, nel suo sguardo balenò quel lampo che lui ben conosceva. Era la sua donna. 
- Vattene!! - disse con voce rotta 
- No! Non me ne vado fino a quando non mi dirai che non mi ami più. Per davvero! – 
Letizia sentì una fitta all’inguine. Una contrazione quasi dolorosa e molto pericolosa, come quando lui la guardava in quel modo che le rimescolava il sangue e che le faceva perdere il controllo. Lo aveva lasciato proprio per quello, perché aveva la fastidiosa abitudine di piombare nella vita della gente e gettarla all’aria. Era il suo più grande difetto ed anche la sua maggiore attrattiva. Giorgio era fatto così. O lo amavi alla follia o lo odiavi ferocemente. Lei lo amava o lo odiava? Adesso le sembrava di non saperlo più. Lo guardò. Indossava un giubbotto di pelle nera che gli disegnava le spalle possenti, jeans aderenti, scoloriti e sfilacciati nei punti giusti, stivali da motociclista ed una maglietta blu scura così aderente che lasciava ben poco all’immaginazione sulla perfetta geometria dei suoi muscoli. Quel maledetto pizzetto fine da bastardo che gli disegnava la mascella volitiva e quegli occhi grigi da lupo che ti spogliavano fino all’anima. Come diavolo aveva potuto tradirlo e rinunciare a lui? Le sue amiche le avevano dato della pazza furiosa per tutto il tempo della separazione e anche dopo. Alcune di loro si erano offerte di consolarlo e lui non le aveva deluse. Aveva rotto con diverse di loro. 
Nessuno dei due si muoveva. Letizia si rese conto che in quel momento fare sesso con lui era l’unica cosa che voleva. Lui era unico. Nessun uomo prima o dopo di lui l’aveva fatta godere come era in grado di fare il suo Giorgio. Si disse che un matrimonio non poteva reggersi solo sul sesso, c’era di più e quel di più lui non era stato in grado di darglielo. Era per quello che aveva ceduto al fascino elegante, raffinato e sofisticatamente romantico dell’avvocato Luciano Manetti. Un pagliaccio. Giorgio aveva ragione. Luciano era solo un barboncino ammaestrato da sfoggiare nei salotti bene, aveva il portamento e l’indole adatte ad una mostra canina di alto livello. Giorgio no. Lui era un fuoriclasse un pericoloso ibrido tra un rottweiler ed un doberman con un pizzico di weimaraner. Tutto un altro pianeta. 
- Sto aspettando Letizia … Non mi muoverò da qui fino a quando tu non mi dirai la verità .. – 
- Tu sei pazzo .. - ansimò vacillando lievemente 
- Sai che novità .. Lo hai sempre saputo che ero pazzo, pazzo come un cavallo … Pazzo di te!! – 
In quel momento un rantolo ed un vago annaspare lo fece voltare. Il distinto avvocato stava gattonando sul parquet mentre perdeva sangue dalla bocca. Letizia lanciò un urlo. 
- Luciano!! - 
Fece per correre verso di lui, ma Giorgio la intercettò e la bloccò afferrandola per la vita 
- Lascialo perdere .. – le sussurrò accarezzandola con il suo fiato caldo ed appesantito dall’alcool - … Hai me, cosa te ne fai di lui? – 
Letizia guardò l’avvocato che non riusciva a mettersi in piedi. Era patetico. Giorgio dopo una rissa con i fiocchi od un’operazione particolarmente cruenta, era sempre stato in grado di tornare a casa con le sue gambe. Era un superbo combattente ed un formidabile incassatore. Giorgio l’avrebbe difesa, l’aveva difesa. Luciano sarebbe stato in grado di fare altrettanto? 
- Tu non ti rendi conto ..- ansimò - Non puoi fare sempre come ti pare ..Tu .. – 
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Ma lui le afferrò il volto con entrambe le mani e premette la bocca sulla sua. 
Ci fu come una deflagrazione. Letizia sentì uno strappo alle viscere. Il cuore le schizzò in gola mentre la lingua di lui la esplorava con lascivia. I baci di Giorgio non davano scampo. La testa le girò. Non avrebbe voluto ma si aggrappò ai suoi bicipiti. Erano durissimi. Tutto il suo corpo lo era. Una roccia che la mandava nei pazzi. Le sue labbra le divoravano la bocca e la sua lingua le prometteva carezze audaci in posti proibiti. Gemette sconvolta, rispondendo a quella lingua licenziosa e sfrontata. Malavasi sentì di essere vicino ad un orgasmo. Da quando si erano lasciati quello era il primo vero bacio che una donna gli avesse dato. Un bacio che non era solo ginnastica facciale, un bacio che era il preludio ad un amplesso, un bacio che ti scuoteva fin nelle viscere. Il bacio della sua donna. Della sua Letizia. Le mani di Giorgio scivolarono sulle sue spalle senza fermarsi, l’avvolsero stringendola a sé con desiderio crescente. Erano grandi , forti e caldissime, poteva sentirne il calore anche attraverso la maglietta, un calore che le stava entrando dentro senza lasciarle scampo. Premette il bacino sul suo e lei ne sentì l’erezione. Lui la desiderava, non aveva mai smesso di farlo, e lei? Lei lo desiderava? In mezzo alle sue gambe c’era come un fiume in piena. Un fiume al quale sui si sarebbe dissetato lasciandola senza forze, senza discernimento. Perché quando lui le era così vicino lei non riusciva più a connettere? Le mani si stavano avvicinando pericolosamente al suo fondo schiena. Luciano era a terra sanguinante e li stava guardando. Una follia. Senza sapere come trovò la forza di staccarsi da quel corpo che urlava sesso con ogni sua fibra. Si guardarono senza fiato e senza veli. Lo sguardo disperato e sofferente di Luciano le stava bruciando la pelle. Gli tirò uno schiaffo che lui incassò senza fiatare. 
- Vattene!! – urlò con le lacrime agli occhi 
Malavasi si rese conto di essere arrivato al capolinea. 
- Se lui non ci fosse stato lo avresti fatto lo stesso? – domandò guardandola in modo scandaloso. 
Si voltò di scatto senza darle modo di rispondere. Scavalcò il barboncino con passo deciso ed uscì nel buio profumato della notte. Letizia si appoggiò al muro sconvolta dal fatto di essere venuta tra le sue braccia solo per averlo baciato. Un attimo dopo l’inconfondibile rombo della Ducati lacerò il velo pigro della notte. Guardò Luciano. Doveva soccorrerlo ma non riusciva a muoversi. Giorgio l’aveva sconvolta, eccitata, travolta. Il suo Giorgio era tornato e lei non sapeva come fare a riprenderlo. Il suo istinto le suggeriva di fuggire, ma il suo corpo ed il suo cuore le stavano urlando di gettarsi tra le sue braccia forti. 
Maledetto commissario Malavasi, era venuto per sapere se lei lo amasse ancora e adesso che sapeva la risposta non sapeva se avrebbe trovato mai il coraggio di dirgliela. 
Malavasi guidò come un folle cercando l’incidente. Non lo trovò. Si trovò invece sotto casa sua incolume e stordito. Quella cazzo di moto doveva avere una specie di pilota automatico. Doveva ricordarsi di fare causa alla Ducati. 
Il giorno dopo gli uomini della sua squadra gli stettero a debita distanza. Nemmeno Lucio, che oltre ad essere il suo vice era il suo migliore amico da tempo immemorabile, trovò il coraggio di affrontarlo. I postumi della sbronza erano evidenti anche se non si era tolto i suoi fidati Ray-Ban nemmeno per un attimo. Fortunatamente fu una giornata abbastanza calma e poco prima di mezzogiorno lui levò le tende senza dare spiegazioni e senza salutare. Non riusciva a non pensare a quello che era successo la sera prima, a quello che aveva provato, a quello che aveva letto negli occhi di Letizia a quello che gli aveva trasmesso il suo corpo. Prese la moto e vagò senza meta per quasi un’ora poi alla fine si fermò, per la seconda volta in due giorni, dove non si sarebbe dovuto fermare.
Letizia era un’arredatrice di talento e lavorava come collaboratrice in uno studio associato di architetti piuttosto rinomato. Lei andava in pausa verso l’una, se non aveva impegni, forse avrebbe potuto trovare il modo di parlarle. Ma per dirle cosa? Quello che doveva dirle lo aveva già detto la sera avanti stordito dall’alcool e dal desiderio, cosa poteva aggiungere? Scese dalla moto e si diresse verso l’ingresso del moderno palazzo in vetro dove aveva sede lo studio. Prese l’ascensore e premette il pulsante del quinto piano. Gli sembrò che non arrivasse mai, ma alla fine si fermò e le porte si aprirono. Al banco della reception c’era una ragazza asiatica che non aveva mai visto, doveva essere nuova, meglio. Lei gli sorrise raggiante, nonostante la notte insonne il suo fascino bastardo mieteva vittime. 
- Cercavo la dottoressa Letizia Zanguidi … - disse sfoderando il suo sorriso da copertina 
- Sono tutti in riunione .. Ma dovrebbe finire tra poco .. Se vuole può attenderla nel solottino – 
Ed indicò un elegante stanza ovale con comodi divani imbottiti. Malavasi storse il naso, li potevano vederlo tutti, ed in quello studio tutti lo conoscevano. Non era il caso. 
- Va bene .. nel frattempo approfitterei del bagno .. – 
La ragazza gli dette indicazioni e lui si avviò lungo il corridoio. Lo aveva fatto apposta, perché sapeva che dal bancone non avrebbe potuto vederlo. Invece di andare al bagno s’infilò nell’ufficio di Letizia. Era una bella stanza luminosa ed accogliente. Letizia era brava nel suo lavoro, molto brava. Si mise a sedere sul divanetto e si guardò attorno. Una volta quell’ufficio accoglieva diverse foto di lui e Letizia, erano tutte sparite. Quella cosa lo ferì, lo fece stare male. Lei aveva cercato in tutti i modi di cancellarlo dalla sua vita, ma lui era come un cancro, una volta che aveva attaccato non mollava. Lo sapevano i delinquenti e avrebbe dovuto saperlo anche lei. Sentì rumore di voci e di passi nel corridoio. La riunione doveva essere finita. La porta si aprì e lei entrò con le braccia ingombre di raccoglitori per campioni di stoffa. Ci fu un tonfo, attutito dalla moquette, e tutti i raccoglitori si sparsero a terra. Il trucco sapiente aveva fatto un buon lavoro, ma Malavasi lesse sul suo volto tirato i postumi della sua prodezza. Prima che lei potesse dire o fare qualcosa lui si alzò e con due falcate si avvicinò alla porta e la chiuse. Si guardarono. 
- Spero tu sia venuto per chiedermi scusa … - attaccò lei decisa ma anche disorientata - … Luciano voleva denunciarti per lesioni personali. Mi ci è voluto del bello per dissuaderlo … - 
Lui immaginò il modo in cui lei lo aveva dissuaso e gli salì il sangue al cervello. Avrebbe dovuto fracassargliela la mascella, così per un bel po’ non avrebbe potuto usare la lingua. 
- Non mi pento di quello che ho fatto. Tu sei ancora mia, io lo so e tu lo sai. La tua voce può anche dire cose diverse, ma il tuo corpo ed i tuoi occhi non possono mentire. Ero ubriaco, certo, ma non fino al punto di non vedere l’ovvio – 
- Tu non sei normale Giorgio!! … E’ finita! .. Tra noi è finita!! E questo tuo comportamento da gradasso non cambierà certo le cose!! – nel dirlo le era tremata un po’ la voce. 
Stava mentendo a se stessa e lo sapeva. In quel maledetto salotto, davanti al loro film, con addosso il suo pendente, dal quale non era mai riuscita a separarsi, lei aveva capito che niente era finito. 
- Stai mentendo!! – rispose lui con quella voce bassa e sensuale che le metteva i brividi 
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Non si poteva mentire a Giorgio, lei lo sapeva. Lo aveva scoperto a sue spese in quei cinque anni di matrimonio. Come una sciocca aveva creduto che lui non sapesse che lei lo stava tradendo, o forse aveva sperato che lui lo scoprisse e che reagisse. Non era successo. Lui si era chiuso nel suo ruolo da duro e lei si era allontanata sempre di più sentendosi abbandonata e incompresa. Avrebbero dovuto parlare ma la rabbia aveva spento le loro voci e adesso lui era tornato ed aveva trovato il coraggio di aprirle il suo cuore. A modo suo certo, con il tatto e la delicatezza di un treno in corsa. Ma questo era Giorgio o lo amavi o lo odiavi. Non avrebbe potuto pretendere di più dal suo sceriffo. 
Era vicino, maledettamente vicino, e lei sentiva le farfalle nello stomaco esattamente come la prima volta che i suoi occhi si erano posati su di lui. 
Prima di vederle le sentì. Le sue mani l’afferrarono alla vita e l’attirarono a sé con decisione. Poi fu la volta delle labbra. Erano bollenti e premettero sulle sue con urgenza e desiderio. Un attimo dopo la sua lingua s’insinuò sfacciata e lei non la respinse. Fu un bacio concitato, a tratti rabbioso ma comunque sensuale come solo Giorgio era in grado di essere. Lo abbracciò disperata e sentì i suoi muscoli contratti. La lingua la esplorava con lussuria ed il suo desiderio divenne ingestibile. Nessuno uomo, a parte Giorgio, era mai riuscito a farle perdere così il controllo. La trascinò verso il divano. Ci crollarono sopra mentre le sue mani le stavano sfilando l’elegante giacchino di lino. Si ritrovò sdraiata con lui che premeva sul suo corpo eccitato. Le mani di Giorgio erano veloci e sapevano cosa fare. Le sentì scivolare lungo le cosce e sollevarle la gonna. Si fermarono sul bordo di pizzo delle calze autoreggenti. Il cuore le mancò un battito. Stava accadendo di nuovo, di nuovo lui l’avrebbe fatta sua. Gli afferrò il volto come a cercare di fermarlo, in realtà non voleva che staccasse la bocca dalla sua. Le dita le toccarono la pelle e lei sussultò. La gonna era tirata su fino alla vita e lui si staccò dalla sua bocca. Respiravano veloci, il volto di lei era in fiamme. La guardò, i suoi occhi da lupo luccicavano. Lo sguardo la carezzò scendendo fino a fermarsi sul perizoma di pizzo che copriva a mala pena la stretta striscia di peluria chiara che lui chiamava sempre “la sua strada per il paradiso”. Le dita s’insinuarono sotto il sottile filo dell’indumento, lo afferrarono e lo tirarono decise. Il pizzo si strappò e lui lo tirò via portandoselo al volto e respirando il suo odore come se fosse stato una droga. Gettò il perizoma a terra e con gesto deciso le sbottonò la camicetta di seta. I seni si alzavano e si abbassavano con un movimento ipnotico che lo stordì. Altro pizzo, altre curve pericolose sulle quali sapeva avrebbe sbandato senza riuscire a riprendersi. Si chinò e con l’abilità di un borseggiatore le sganciò il reggiseno e glielo sfilò con gesto fluido. Le affondò il volto tra i seni generosi e lei sentì il calore della sua lingua. Gli passò le dita tra i corti capelli gemendo e pensando, in un recesso della sua mente sconvolta dal piacere dilagante, che chiunque sarebbe potuto entrare da quella porta. La lingua scivolò sulla pelle setosa ed arrivò fino al capezzolo turgido avvolgendolo con il suo calore. Letizia si morse un labbro per non urlare. Le mani di Giorgio la sollecitavano sapienti e la sua lingua la carezzava togliendole il respiro. Desiderò che le strappasse di dosso anche quella stupida gonna. Lo carezzò impazzita sulle spalle cercando di sfilargli il giubbotto di pelle. Lui si tirò su di scatto e con gesto concitato si tolse il giubbotto e la maglietta. Gli occhi di Letizia si dilatarono davanti a quel torace nudo che ben conosceva. Tese le braccia e posò le mani aperte sui pettorali. Poteva sentire il suo cuore battere all’impazzata. Gli disegnò i muscoli con le dita mentre si guardavano negli occhi eccitati come due folli. 
- Ti voglio … - ansimò lui. 
Era un’affermazione inutile. Che lui la volesse era più che evidente. Ma quelle parole sussurrate con voce rotta aumentarono il loro già incontenibile desiderio. 
graziabianca.scrivere.info
Le mani di Letizia scivolarono sulla cintura dei pantaloni e la slacciarono, scesero sui bottoni dei jeans e li aprirono. Lui le bloccò le dita un attimo prima che s’insinuassero dentro ai jeans. Si chinò e le fece scivolare la lingua sul ventre. Letizia allargò piano le gambe sapeva dove sarebbe arrivata quella lingua, voleva che arrivasse proprio lì, nel suo paradiso. Le mani di Giorgio erano bollenti, pensò che le sarebbero rimasti i segni sulle cosce come un marchio di appartenenza. Lei gli apparteneva anima e corpo solo adesso, dopo aver rischiato di perderlo per sempre, se n’era resa conto. Giorgio era come stordito. Sentiva il suo profumo più intimo. Era come una droga, quell’odore lo chiamava, lo istigava era il preludio a quello che la sua lingua avrebbe assaggiato. Tutto quello che lui voleva era lì. Racchiuso in quello scrigno caldo e bagnato che lo aveva reso prigioniero fin dal primo giorno. Non esistevano per lui altre donne oltre Letizia. Quelle futili e anonime avventure che aveva avuto dopo erano state deludenti e deprimenti come un post-sbornia. La baciò sulle sue labbra segrete e sentì dentro come un terremoto. L’erezione stava premendo sulla stoffa dei jeans smaniosa di venire liberata per prendere possesso di ciò che era suo. Letizia urlò, non riuscì a trattenersi. La sua bocca la stava assaggiando e la sua lingua la stava esplorando facendola impazzire. Sentiva l’orgasmo arrivare a ondate e le toglieva il fiato. Non voleva raggiungerlo, non subito. Voleva provare quella meravigliosa tortura fino allo sfinimento. Lui lo sapeva e quando la sentiva tremare si fermava, come a darle respiro. Una piccola tregua per riprendere le forze. I gemiti di Letizia riempivano la stanza e la sua testa. Non era la prima volta che facevano sesso in quell’ufficio, ma era la prima volta che ci facevano l’amore. Le dita di Giorgio scivolarono tre le sue gambe lente e predatrici e lei non riuscì più a resistere. Gli afferrò i capelli e scossa da fremiti convulsi venne. Il piacere che aveva provato era stato sconvolgente. L’onda dell’orgasmo non l’abbandonò. Continuò a tremare rapita dal godimento mentre lui non smetteva di assaggiarla. Per fortuna tutti dovevano essere andati a mangiare, perché altrimenti le sue grida ed i suoi gemiti avrebbero fatto accorrere l’intero l’ufficio. Giorgio si tirò su piano. E la guardò. Era bellissima, con gli occhi allagati di piacere e desiderio. Lei allungò di nuovo le mani verso i suoi pantaloni e questa volta non la fermò. Le dita di Letizia trovarono la sua carne bollente e la liberarono. Lo carezzò piano e lui gemette chiudendo gli occhi. Il suo tocco esperto lo faceva impazzire. I loro giochi erotici non mancavano di fantasia e spesso si divertivano a consumare i loro amplessi in posti assurdi o improponibili. Il rischio accresceva la trasgressione ed aumentava il loro desiderio. Gli passarono per la mente diverse cose azzardate che avrebbero potuto fare in quel momento, ma la verità era che lui la voleva e basta. Tutto il resto era un di più, un di più di cui adesso non avevano bisogno. L’afferrò alla vita a l’attirò a sé. Lei inarcò la schiena e rovesciò la testa indietro gemendo. Giorgio si chinò e la leccò sul collo scendendo giù fino in mezzo ai seni. I loro inguini si stavano sfregando, ognuno poteva sentire il colore infuocato dell’altro. Le mani di Giorgio scivolarono dalla vita fino ai fianchi, l’afferrarono decise e finalmente entrò di nuovo dentro di lei. Giorgio rimase senza fiato. In quei sei mesi aveva posseduto molte donne, ma non aveva mai provato quello che stava provando in quel momento. Era davvero il paradiso. Anche per un peccatore come lui esisteva il paradiso. Un paradiso che sapeva di non meritare ma al quale non avrebbe mai potuto rinunciare. Si muoveva piano dentro di lei mentre le sue gambe lunghe si stavano stringendo attorno ai suoi fianchi. Lo teneva stretto premendo il petto contro il suo ed incitandolo. Il volto di lui era affondato nei suoi capelli lisci e setosi. Sentiva il suo profumo, ascoltava i suoi gemiti, ora sommessi, ora gridati. Sentiva il piacere salire come una febbre. Lei si muoveva sotto di lui esperta, sapendo come aumentare il suo piacere. Avrebbe voluto che quel momento non finisse più. Erano solo loro due ed il resto del mondo fuori. Il cuore gli sbatteva contro le costole, temette che volesse lacerargli la pelle per uscire fuori. L’orgasmo si stava avvicinando e lui non riusciva a controllarlo. La desiderava troppo. Erano sei mesi che la desiderava. La bocca di lei gli sfiorò l’orecchio. Era caldissima. 
- Ora Giorgio … - ansimò - … Ora …. – 
blog.libero.it
Erano un'unica cosa, un unico corpo. L’orgasmo li aggredì assieme, potente inarrestabile, spietato e languido allo stesso tempo. Aveva concesso loro poco tempo, ma quel poco tempo era valso una vita. I loro gemiti si fusero come fusi erano i loro corpi. Il brivido del piacere li attraversò scuotendoli come una scossa elettrica ad alto voltaggio. Giorgio crollò su di lei abbracciandola e lei si avvinghiò al suo corpo ansante e sudato. Nella stanza calò il silenzio. Si sentivano solo i loro respiri veloci, ancora concitati. Rimasero immobili in quella posizione per un tempo indefinito. Giorgio non voleva uscire da lei, sarebbe stato come morire. In quel momento la sua vita dipendeva dal calore del suo corpo. Si mosse piano provando ancora un piacere travolgente. Con gesto delicato le scostò i capelli dal volto e la baciò lieve sulle labbra. 
- E ora? … - sussurrò lei alla sua bocca 
Già e ora? Non avevano giocato, era una cosa seria. Maledettamente seria. Seria fino al punto di rimettere tutto in discussione. 
- Vuoi che diventi il tuo amante e che ci divertiamo un po’ alle spalle di quel pagliaccio di Manetti? – 
Lei lo guardò male ma un sorriso complice le increspò le labbra 
- Stavo scherzando …. – precisò lui, sapendo che quella era la fase più delicata dell’intera faccenda. 
Fece per staccarsi da lei, ma Letizia non lo mollò continuando a tenerlo in mezzo alle sue gambe lunghe e snelle. 
- Sai cosa vuol dire questo Giorgio? – 
Certo che lo sapeva. Era la sua seconda opportunità e non l’avrebbe lasciata sfumare. 
- Mi stai dando un’altra chance? … Mi stai aprendo di nuovo la tua porta? – 
Lei sorrise maliziosa 
- Mi sembrava evidente … Non sei molto brillante a dedurre, caro il mio bel commissario .. – 
La baciò di nuovo. Baci lievi ed umidi, come se assaporasse quelle labbra senza trovare il coraggio di assaggiarle veramente. Aveva notato che non portava il pendente di Tiffany. 
Le carezzò il collo con gesto delicato. 
- Perché non lo porti? .. ieri con lui lo avevi … - disse con una lieve punta di gelosia 
- Ha voluto che lo togliessi …Era furioso .. Per calmarlo l’ho accontentato … Ma ce l’ho nella borsa, volevo rimetterlo stamani poi non né ho avuto il tempo  - 
- Non te lo sei mai tolto …. Perché non hai mai smesso di amarmi .. – 
Lei gli carezzò il volto seguendo con il dito il suo contorno. Certo che non aveva mai smesso di amarlo, aveva solo creduto di poterlo fare. 
Il cellulare di Malavasi squillò. Fastidioso ed inopportuno come sempre. Imprecò alzandosi. Il distacco dal corpo di Letizia gli procurò quasi un giramento di testa. La guardò sorridendo come un liceale davanti alla sua prima ragazza e con gesto impacciato cercò il cellulare nella tasca del giubbotto. Lei si mise seduta raccogliendo le gambe sotto di se con gesto quasi felino. Con movimento sensuale si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Malavasi ascoltava con un solo orecchio e con metà cervello, non le staccava gli occhi di dosso. Nella gran confusione che aveva in testa, accaldato e stordito dall’aria satura di sesso che riempiva la stanza, gli parve di capire che dall’altra parte ci fosse Lucio che gli diceva che avevano bisogno di lui per un omicidio. Anche lì c’era qualcuno che aveva bisogno di lui, o forse era lui che aveva bisogno di lei? Gli sembrava di vederci doppio. Finì per sedersi sul divano e lei gli si strusciò addosso come una gatta che fa le fusa. Stavano per ricominciare? La voce di Lucio si alzò di qualche tono e lui ritornò di colpo con i piedi per terra. 
- Arrivo subito Lucio .. Dammi il tempo di capire dove sono … - 
La risposta dell’amico non fu molto gentile. La comunicazione s’interruppe. 
- Era Lucio .. – disse con lieve imbarazzo 
- Lo avevo capito …. Digli da parte mia che è un gran rompiscatole … - 
Gli passò la lingua sulle labbra poi si staccò ridendo. Vederlo in quello stato confusionale era eccitante e divertente. 
- Ti aspetto stasera per cena e porta lo champagne …. E guarda di non fare tardi come tuo solito – 
- E’ il nostro primo appuntamento? – 
- Fai tu … - rispose lei con malizia 
Giorgio si alzò ed iniziò a ricomporsi. Chissà che diavolo di ore erano? 
Quando fu pronto lei si alzò dal divano e si tirò giù la gonna. 
- Torni a lavorare in queste condizioni? – disse lui afferrandola alla vita e baciandola sul collo 
- Perizoma a parte è tutto a posto, solo un po’ sgualcito. Ma il lino sgualcito fa tendenza .. – 
Lo accompagnò fino alla porta e gli sorrise. Si sentiva felice come una bambina la mattina di Natale. 
- Massimo alle nove sarò a casa con lo champagne …. – 
Le diede un ultimo bacio ed uscì con passo furtivo. 
Letizia corse alla scrivania. Aprì la borsa e frugò agitata. Tirò fuori il cofanetto di velluto blu e lo aprì. Prese il pendente e se lo mise al collo. Si guardò allo specchio. I capelli erano un disastro ed il trucco era da rifare, ma non le importava. Giorgio era tornato nella sua vita e questa era l’unica cosa che contasse veramente. Per sei mesi si era illusa di poter vivere senza di lui, una follia. Si appartenevano, per loro non c’era altro destino che stare insieme. Si sorrise dallo specchio e si passò la lingua sulle labbra. Quella sera avrebbero fatto scintille. Avrebbe tirato fuori le lenzuola di seta ed avrebbe indossato uno dei suoi completi intimi da infarto. Musica sensuale e candele profumate. Non doveva preoccuparsi di preparare la cena. Si sarebbero sfamati in altro modo. Pensò allo champagne sulla sua pelle ed un brivido di piacere la scosse da capo a piedi. Giorgio sapeva come far godere una donna. 

FINE



quando si dice: l' "intesa"

Gwen: stavo ascoltando ora Ilaria Porceddu, la trovo meravigliosa... è la prima volta che la sento e mi sono innamorata

Claudio: cazzo che pezzo che ha portato a sanremo
l'unico bello su tutto il festival
poesia

Gwen: beh, ti sei cercato anche altri pezzi della suddetta elisaboh?

Claudio: chi è elisa?

Gwen: si.

Claudio: si? ahahahaha!

Gwen: ho sbagliato, ilaria ^_^

Claudio: ah :) no. e la ricordo a x factor, cantare pezzi di fado ai provini e oceano di lisa. era molto brava ma non aveva ancora sto carattere. se tutto il disco è cosi': wow!
stasera reb mi ha mandato il pezzo, domani se riesco butto giu' due idee per il mio

Gwen: non so, sai che io non ho capacità di capire l'importanza di una voce, ma continuo a riascoltarla, qualche cosa vorrà dire

Claudio: beh è da brividi
ma proprio il pezzo

Gwen: ah, se è quello che ha postato a me ieri l'ho letto, ma mi diceva che continuava a cambiarlo

Claudio: sul circo come metafora della vita
bellissimo

Gwen: mi sa che l'ha cambiato di nuovo..
il circo non ce l'ho presente, ma me ne ha postato solo un pezzo

Claudio: no il circo è il pezzo della porceddu :)
reb mi ha postato j. m. via email
io sono cla tu sei gwen

Gwen: ahahah ma che fai, mi metti confusione come se io non ne avessi già abbastanza da sola in testa?

Claudio: siamo sul terzo pianeta del sistema solare

Gwen: siamo sicuri che io non sono clau e tu sei gwen? perchè potrei crederea tutto

Claudio: ahhahaha

Gwen: daiiiiii smettilaaaa
mi connetto, mi connetto

Claudio: ;P

Gwen: insomma devo ascoltare questo circo e che non è cantata da rebecca?

Claudio:
ma il circo è il tema di "in equilibrio", il pezzo che stai ascoltando a nastro

:)
sai,
mangiafuoco
lama
elefanti
scimpanzè
...
Gwen: ahahah oh, mamma.. mi preoccupo?

Claudio: SI ahhahaha :D
(heart)

Gwen: clau, non so se hai buttato un occhio al mio di pezzo, ma quando parlavo del glucosio che non arriva, mica stavo scherzando

Claudio: ma finiscila :)
quale glucosio
tu sei distratta
:)

Gwen: sono seria, purtroppo

Claudio: come me

Gwen: però questi dialoghi per assurdo mi piacciono.. mica è da tutti

Claudio: :)
tu sei una persona spettacolare

Gwen: appunto, da circo ^_^


domenica 24 febbraio 2013

gente della notte

No! non mi sto svegliando ora =)
Anzi sta notte, se si può chiamare ancora cosi visto che sono le 6 e 28, penso che non dormirò proprio... anche perchè se chiudo gli occhi ora prima delle 17:00 non ci son santi e ne madonne che mi tirino giù dal letto.
Per giunta sento che mi sta per venire l'influenza che si va a sommare ai miei acciacchi quotidiani...inizierò ad andar via con i santini che mi regala la mia cara nonna ogni volta che mi vede...sarà un suo sesto senso?! mah....effettivamente mi servono un pò di santini in questo periodo!
Beh vi lascio questa canzone

sabato 23 febbraio 2013

Bruce Munro


Bruce Munro, light designer inglese, presta una particolare attenzione al dialogo tra la natura e la tecnica dell'illuminazione. emblematichi i Longwood Gardens in Pennysilvania, scelti  come teatro per le sue installazioni fino a settembre del 2012. un percorso che si snodava all'interno del parco, consentendogli di riproporre alcune sue realizzazioni  ripensate e armonizzate in relazione con questo magico luogo. 
nei Longwood prendono  vita  la “Forest of light”, un'infiorescenza di 20.000 steli luminosi, 


 “Ninfee” una distesa di scintillanti cd che galleggiano sullo specchio d'acqua del lago interno,



o, ancora, le "torrette luminose", nove opere che si accendono in un susseguirsi di variazioni cromatiche a tempo di musica


Munro propone, quindi, un viaggio fantastico, in bilico tra onirico e psichedelico, ove è la struttura stessa della natura ad animarsi accendersi di mille sfumature. 

giovedì 21 febbraio 2013

io e Lucifero

Lucifero si volta,i suoi occhi si accendono della stessa luce dei mille occhi del cielo. Questa sera freme, lo vedo. 

Annusa il freddo fatto di lame che ci lacera e lambisce.
Siamo soli.
A farci compagnia, la voce del vento incessante e colline che si perdono all'infinito.
assolutamente soli, io e lui, appena giunti ai piedi di questa limpida notte fatta di frammenti metallici. 

Nulla per miglia, a parte il buio. 

Le sue snelle zampe da lupo, lanciate in una corsa silenziosa che non muove l'aria, una corsa da predatore, la sua... che l'udito non può cogliere se non quando è troppo tardi. 

I suoi sensi intensificati esaltano i miei quasi a renderci la stessa cosa, quasi mi volesse far dono di quel che lui può vedere, di quello che lui può avvertire. 

Non temo la notte con lui al mio fianco, non temo il freddo che graffia, i rami che scuotono, un rumore improvviso, un'ombra, la mia stesa fragilità.
Nulla può farmi troppo male se lui è li e mi aspetta.
con lo sguardo mi cerca, lui è il mio istinto e io sono il suo clan. 

Mi incanto del suo essere selvaggio, della sua estrema fierezza, della sua devozione che non muta mai in sottomissione, si lascia guidare, guidandomi a sua volta in una sintonia perfetta. 

Non esiste anima che possa darmi altrettanta complementarietà, nessuno che possa colmare altrettanto il mio vuoto.

mercoledì 20 febbraio 2013

Aspettando mia nipote

Eccomi qua, metà pomeriggio, in attesa della mia nipotina che deve venire a ripassare Giulio Cesare... vi confesso che normalmente quando mi chiede aiuto per studiare se ne va sconvolta, sono piuttosto severo lo ammetto! Nel frattempo mi è venuta voglia di ascoltare musica (tanto per cambiare) e vorrei condividere anche oggi una canzone con voi.
Continuiamo con la serie del chilometro zero :)
Silvia Sciacca, cara amica e persona dolcissima, nonchè dotatissima cantante, ho sviluppatodiversi progetti nel corso degli anni.
Una cover acustica dei Guano Apes, realizzata con delicatezza, gusto e poesia, solo dalla voce e dal pianoforte.

Io me la godo, voi cosa ne pensate?


Don't You Turn Your Back on Me (cover) 

ENJOY :) 

lunedì 18 febbraio 2013

VERONICA


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Lo sguardo scuro e profondo si muoveva velocemente da una parte all’altra come alla frenetica ricerca di qualcosa, poi all’improvviso si bloccava su un punto all’infinito perdendosi per alcuni secondi che sembravano eterni per poi ricominciare la sua ossessionante corsa. La testa immobile era coronata da lunghi boccoli biondi che si perdevano sulle ceree spalle. Un lungo abito di pizzo e tulle rosso si allargava sul morbido cuscino di velluto color ocra sul quale era seduta, calzava scarpette di raso rosso ed aveva il volto imbellettato. 
- La tua marionetta è veramente inquietante Rupert… - Disse Lord Horn sorseggiando il suo whisky - … si vorrebbe evitare di guardarla, ma il suo sguardo ti cattura e sei costretto a seguirne la folle corsa. Dove l’hai presa? 
Sir Rupert Winston sorrise compiaciuto ed ammirò ancora una volta la sua marionetta 
- L’ho trovata per caso da uno strano rigattiere in Palm Street. Pensa che non voleva nemmeno vendermela, diceva che era stata fatta per rimanere nel negozio. 
- Assurdo! – esclamò Lord Horn 
- Appunto … – continuò l’ospite - … E’ quello che ho detto anche io per convincerlo ed ho dovuto anche aggiungere una cospicua somma di denaro oltre alle parole .. – rise furbo - … Pensa ha pure un nome, a me non piace lo trovo volgare, ma quel buffo rigattiere mi ha fatto giurare di non cambiarglielo. 
Bevve un sorso della sua tisana calmante ed accarezzò nuovamente la marionetta con lo sguardo. La trovava inquietante ed affascinante allo stesso tempo. Continuò incoraggiato dallo sguardo curioso dell’amico. 
- Si chiama Veronica … Non è buffo? 
L’amico annuì poggiando il bicchiere su di un tavolinetto basso che era davanti alla poltrona e si alzò. 
- Devo proprio andare Rupert, la contessa Ferguson mi aspetta per la cena. Non capisco perché tu non voglia venire. 
- Non me la sento di ascoltare le solite maldicenze, preferisco leggermi un buon libro ed andare a letto presto. 
- Come vuoi – rispose Lord Horn mentre un cameriere lo aiutava a rivestirsi. 
Rupert guardò fuori dalla finestra. 
- C’è un nebbione incredibile Henry, sembra di poterlo strappare a brandelli, stai attento con la Rolls. 
- Tanto non sono io che guido, toccherà a Martin di stare attento. 
I due amici risero e si avviarono al portone del palazzo. Solo quando l’auto di Lord Horn fu inghiottita dalla nebbia Rupert rientrò in casa. L’umido di quella sera era insopportabile, entrava nei vestiti, nelle ossa e rendeva tutto lugubre e pesante. Il portone si chiuse alle sue spalle e Sir Rupert fu invaso da una gradevole sensazione di calore e benessere. 
Sir Rupert Winston amava gli oggetti antichi, ne aveva la casa piena. Possedeva pezzi di gran valore, praticamente tutta la mobilia, ma anche chincaglierie originali rastrellate da tutte le parti del mondo, oppure scovate in bottegucce dimenticate dal tempo come quella nella quale aveva comprato la stupenda marionetta. 
la.duchessa.blogspot.com
Rientrò nello studio dove era stato con l’amico e chiamato il maggiordomo gli ordinò di servirgli la cena. Si sedé alla scrivania e sprofondò nella lettura di un antico manoscritto risalente all’età medievale che parlava di stregoneria, demoni e indemoniati. Era autentico , un vero pezzo da museo d’inestimabile valore, che era riuscito ad avere in maniera non del tutto legale. Era così assorto che non sentì nemmeno entrare il maggiordomo con la cena e quando alzò gli occhi se la trovò sotto al naso come se fosse apparsa per magia. Il libro era scritto in celtico antico e vi erano riportate anche formule magiche ed incantesimi. Ad un certo punto della serata Sir Rupert fu colto da un colpo di sonno. Lo scritto davanti ai suoi occhi si fece sfocato e le figure del libro presero come a muoversi, la testa gli si piegò sul mento. Tentò un paio di volte di rialzarla, ma la stanchezza lo vinse e cadde addormentato riverso sul grosso libro aperto. Fuori la nebbia sembrava pigiare sui vetri da quanto era fitta, si sarebbe detto che da un momento all’altro le finestre avrebbero ceduto. La tenue luce della stanza ebbe come un tremito, si spense e si riaccese. La marionetta iniziò a far roteare il suo sguardo senza che nessuno avesse azionato il meccanismo. Guardava la finestra poi il libro, il libro e la finestra poi si fissò sul Sir Rupert per alcuni secondi, riprendendo un attimo dopo la sua folle corsa. Dalla tazza di tè che il lord aveva appena toccato cominciò ad innalzarsi una flebile spira di fumo così contorta da sembrare in preda a convulsioni. Anche l’immensa libreria alle spalle dell’uomo ebbe come un fremito, tutti i libri sussultarono nel loro loculo. La finestra si spalancò senza rumore e la nebbia si insinuò furtiva nella stanza, sembrava un immenso felino freddo e sfuggente pronto a ghermire la preda. La nebbia si unì al fumo della tazza ed avvinghiati si gettarono sulle pagine del libro. La testa del lord si alzò lentamente dal tomo ed andò ad appoggiarsi sull’alto schienale dello scranno dove era seduto. Le pagine del libro iniziarono a sfogliarsi a folle velocità fino a quando si fermarono su una pagina dove era raffigurata una donna abbracciata al diavolo. La figura non prendeva tutta la pagina e sotto c’era uno scritto. Una sola parola di quelle righe si scurì fino a diventare incandescente, la parola era un nome: VERONICA. 
Dalle lettere incandescenti salì un fumo iridescente che lentamente avvolse la marionetta. Adesso i suoi occhi si muovevano a velocità pazzesca. La nebbia chiuse il libro lasciando il segnalibro di pelle alla pagina della figura. Lentamente si ritirò com’era entrata, le finestre si chiusero nel più assoluto silenzio, solo il rumore di cocci infranti turbò quella quiete irreale. La marionetta, crescendo, aveva fatto cadere tutti i soprammobili che erano sul mobile sopra al quale era stata appoggiata. 
Con estrema grazia la fanciulla che aveva preso il posto della bambola scese dalla credenza e si avvicinò all’uomo addormentato. Riaprì il tomo alla pagina che Sir Rupert stava leggendo e con estrema delicatezza gli appoggiò la testa sul volume aperto. 
I suoi occhi erano ancora più neri e profondi e bastò il loro luccichio perché i soprammobili rotti si ricomponessero tornado al loro posto. La fanciulla si stiracchiò con voluttà, come quando uno si sveglia da un lungo e pesante sonno. Roteò su sé stessa facendo alzare l’ampia gonna dell’abito rosso. I capelli erano sciolti e fascinosamente scarmigliati, non c’erano più gli ordinati boccoli e l’abito, prima tanto elegante, era quasi a brandelli ed in più punti era chiaramente bruciato, anche le scarpe erano scomparse. Sul volto bellissimo non più traccia di belletto ma solo alcuni graffi e macchie di carbone, le mani bianchissime, come il resto della sua carnagione, avevano unghie lunghe ed affilate. 
La ragazza si guardò attorno ed iniziò a curiosare fra i libri della grande libreria. Li prendeva e li sfogliava e poi li gettava a terra. In breve tutto lo studio fu nel caos più completo. Fu il lieve rumore dei passi del maggiordomo a distoglierla dalla sua opera devastatrice. Con un rapido gesto della mano rimise tutto al suo posto e nell’attimo in cui la maniglia della porta si abbassò ritornò ad essere la marionetta inanimata di prima. 
- Si svegli Sir è mezzanotte. 
Sir Rupert si tirò su piuttosto stordito. Il maggiordomo lo aiutò ad alzarsi dallo scranno. 
- La veste da camera è pronta ed anche la sua tisana Sir. 
Il lord annuì. 
- Lascia tutto com’è Edward, continuerò la lettura domani. 
Il maggiordomo annuì uscendo dietro al lord e chiudendosi la porta alle spalle. 
Quella notte il sonno di Lord Rupert fu senza sogni fatta eccezione per una immagine che lo perseguitò per tutto il suo riposo: quella di una giovane donna che veniva arsa viva ai piedi di una quercia contorta su cui appariva scritto a lettere di fuoco un nome. Fu gridando quel nome che il lord si svegliò il mattino seguente. Il maggiordomo accorse subito, la sua faccia era una maschera d’imperturbabilità quando si chinò sul lord ancora sudato ed ansimante per la visione avuta. 
- Tutto bene Sir? - chiese con la sua solita voce pacata 
- Tutto bene Edward.. E’ .. E’ stato solo un brutto sogno .. Ho forse gridato? 
L’uomo fece finta di concentrarsi un attimo 
- Si Sir .. Avete chiamato un nome. 
- Un nome? .. Quale nome? 
- Veronica .. Sir 
- Ne siete proprio sicuro? – domandò il lord piuttosto turbato 
- Sicuro come sono sicuro di sentirvi in questo momento. 
- Preparami la colazione la prenderò nel mio studio - rispose alzandosi lentamente. 
il maggiordomo lo aiutò ad indossare la vestaglia ed uscì. 
Lord Rupert entrò nello studio e la prima cosa che fece fu quella di andare a controllare la marionetta. Nemmeno lui sapeva perché, ma c’era qualcosa di strano in quella bambola, solo adesso se ne rendeva conto. La prese delicatamente fra le mani e la guardò a lungo. Il suo bel volto rispondeva muto al suo sguardo, si sarebbe aspettato che avesse parlato, invece non successe. Rimise la bambola sul cuscino invaso da una strana delusione. Una delusione profonda, indispettita come quella dei bambini. Gli fu servita la colazione ma bevve appena un sorso di tè, senza rendersene conto si era di nuovo immerso nella lettura dell’antico libro. L’attenzione gli cadde sull’elaborato segnalibro di pelle e con decisione aprì la pagina al segno. La miniatura con il corpo del diavolo e della donna avvinghiati balzò ai suoi occhi come se fosse stata viva, ne rimase come ipnotizzato, poi il suo sguardo cadde sulla parola incisa a lettere di fuoco e mancò poco che svenisse. Lesse lo scritto trattenendo il fiato:
“ …. E la donna che si accompagna al diavolo è essa stessa creatura demoniaca, 
come Veronica, concubina di satana. Essa brucerà nelle fiamme 
divine finché di lei resterà solo cenere da spargere al vento …” 

Sir Rupert alzò la testa di scatto ed incontrò lo sguardo vuoto della marionetta che lo fissava come per volerlo trapassare. Suonò il campanello ed un attimo dopo apparve il maggiordomo 
- Fai preparare subito l’auto, devo andare a Londra immediatamente. 
Si vestì in preda ad una strana agitazione e quando scese ripassando accanto allo studio fu colpito da un’idea. Entrò ed afferrò la bambola avvolgendola nella sua sciarpa. 
Durante il tragitto verso Londra il lord esaminò attentamente la bambola. Mise in moto il meccanismo che le faceva muovere gli occhi in quel modo così inquietante e seguì ipnotizzato il suo sguardo penetrante. Fuori brillava uno splendido sole invernale a dispetto della fitta nebbia della sera prima. Il cielo era di un azzurro brillante, inusuale per quella stagione. Forse era il tempo, il fatto che fosse giorno e non sera, ma la marionetta non risultava più così tanto inquietante, anzi era quasi divertente. E il nome? Un nome qualsiasi con niente di raccapricciante. Rupert si sentì quasi ridicolo in quella folle corsa verso Londra alla volta di Palm street. Sorrise alla bambola ed arrivò alla conclusione che, infondo, una passeggiata mattutina per le vie di Londra sarebbe stata salutare e divertente. Decise che sarebbe andato lo stesso dal rigattiere, così tanto per curiosità, infondo quel piccolo ometto dagli occhiali di tartaruga un motivo per non volergli vendere la bambola doveva averlo avuto e sapere quale fosse stato poteva essere stimolante. Fece fermare l’auto un paio di isolati prima di Palm street e percorse il resto della strada a piedi. La giornata era limpida ma piuttosto fredda e numerose pozzanghere si erano ghiacciate. Rupert fece molta attenzione nel camminare, cadere non sarebbe stato salutare né decoroso. Giunse nella via ed affrettò un po’ il passo per il desiderio di scaldarsi a quella stupenda stufa di maiolica che il rigattiere teneva nel centro della bottega. Passò accanto al numero 660, ancora due numeri e sarebbe arrivato. Si fermò davanti al numero 666 e per poco non gli cadde di mano la bambola. Scese nel sottoscale ma della bottega del rigattiere non c’era traccia. Davanti a lui una porta sgangherata ed annerita dal fuoco con alcune assi inchiodate di traverso. I vetri erano rotti e le pareti annerite dalla fuliggine. Davanti alla porta un cumulo di rifiuti e mattoni rotti. Rupert rimase pietrificato dalla sorpresa e da un’incontrollabile paura che iniziava a salirgli lungo la schiena. 
Uno spazzacamino che passava lo vide immobile davanti alla porta 
- Vuole comprare quel posto signore? – disse ridendo 
Rupert si voltò di scatto era terribilmente pallido 
- Che posto è questo? – chiese con un filo di voce 
Lo spazzacamino lo guardò interdetto, questi signori erano proprio strani, ubriachi di prima mattina. 
- Siete al 666 di Palm street signore! E quello scantinato è disabitato da più di dieci anni. 
Rupert rifece le scale in fretta e si fermò davanti all’uomo coperto di fuliggine 
- Ne … Ne siete sicuro? 
- Che diamine!! … - esclamò l’uomo iniziando a seccarsi da quello strano comportamento - .. Certo che ne sono sicuro!! .. Sono più di venti anni che faccio questo quartiere. Prima c’era un rigattiere, ma morì nell’incendio della sua bottega e da allora non c’è più stato nessuno. 
Rupert iniziò a sudare freddo, deglutì più volte prima di riuscire a profferire parola 
- Quell’uomo .. Il rigattiere .. Era piccolo di statura, con pochi capelli ed aveva degli occhiali con la montatura di tartaruga? 
Attese la risposta con il fiato sospeso con la segreta speranza che l’uomo gli dicesse di no. Lo spazzacamino ci pensò su un attimo 
- Si era proprio lui .. Un tipo bizzarro .. Si chiamava … Si chiamava … 
- Wedgwood? – disse il lord al colmo dell’agitazione 
- Esatto!! … Wedgwood .. Ma voi come? 
Ma non finì la frase perché il lord si era già allontanato 
- Ehi!! .. Signore aspetti!!! 
Rupert si bloccò, tornò indietro quasi di corsa, gli si affiancò e lo toccò su una spalla, poi senza dire nulla girò sui tacchi e si allontanò di nuovo. Lo spazzacamino lo guardò e si grattò la testa. Sperò di portargli fortuna perché a suo giudizio quel tizio così elegante era parecchio fuori di testa e di fortuna ne aveva parecchio bisogno. Scosse la testa e riprese il suo cammino dalle parte opposta fischiettando. 
Due occhi cerchiati da una montatura di tartaruga si mossero da dietro la sgangherata porta dello scantinato, avevano assistito a tutta la scena. 
Lord Rupert risalì in auto con le gambe di panno e zuppo di sudore. Le mani gli tremavano. Poggiò immediatamente la marionetta accanto a sé sul sedile come se fosse incandescente 
- A casa di Lord Horn! 
L’auto partì placidamente e si immise nel traffico intenso di quell’ora. 
Per tutto il viaggio Rupert evitò di guardare la bambola ma sentiva il suo sguardo penetrargli nella nuca. Era una sensazione così sgradevole che cominciò a venirgli il fiato corto. L’auto era uscita dalla città da diverso tempo e svoltò in una strada privata in piena campagna. Rupert era in preda ad un panico incontrollabile, stava pensando a Palm street, a quello che gli aveva detto lo spazzacamino, allo sguardo della bambola ed al Sig. Wedgwood. Si voltò verso la marionetta e si accorse che il meccanismo degli occhi era in funzione. Occhi irrequieti che lo fissavano di tanto in tanto. Gli sembrò che tutta la macchina ruotasse assieme agli occhi, anche lui ruotava avvolto dalle fiamme che lo sguardo di Veronica dardeggiava al suo indirizzo. Si sentì soffocare, si sbottonò il cappotto con movimenti scoordinati, gettò a terra la sciarpa di seta che aveva al collo ed aprì il finestrino. L’aria gelida che lo colpì improvvisamente non fece l’effetto che aveva sperato. Non sapendo più cosa fare e sentendosi vicino ad un collasso nervoso, Rupert afferrò la marionetta per un braccio e la scaraventò fuori dal finestrino. L’autista inchiodò 
- State bene Sir Rupert? .. Volete che … - 
Rupert, che aveva ripreso a respirare quasi regolarmente, lo zittì con un gesto della mano 
- Riparti! .. Prima arriviamo meglio è!!! 
Lo disse con voce strozzata, quasi isterica e l’autista obbedì senza fiatare. 
Aver gettato via la bambola l’aveva fatto stare meglio e lentamente, via via che si avvicinavano alla villa di Lord Horn, si riprese quasi del tutto. 
La bambola giaceva a gambe all’aria nel fosso dentro il quale era volata. Lentamente spostò prima le braccia, poi le gambe ed infine la testa. I suoi occhi dardeggiavano a destra e sinistra mentre si metteva in piedi. Dal fondo del fosso cominciò ad innalzarsi una piccola e densa colonna di nebbia che si spanse per qualche metro fino a quando una forte raffica di vento la spazzò via lasciando al suo posto la splendida e misteriosa fanciulla che era apparsa la notte precedente. Uscì dal fosso e s’incamminò verso la suntuosa residenza di Lord Horn. 
Rupert fu ricevuto immediatamente dall’amico, che appena lo vide in quelle condizioni lo fece accomodare e gli offrì una generosa dose di whisky. Gli si sedette di fronte ed intrecciando le dita sprofondò nella poltrona guardandolo con curiosa apprensione. Rupert non si fece pregare ed anche se in modo un po’ concitato gli raccontò tutto, a cominciare dal libro per finire alla surreale visita in Palm street ed alla successiva liberazione dalla bambola. 
- Tutto questo ha dell’incredibile!! .. Fosse stato un altro a raccontarmelo gli avrei riso in faccia. Ma detto da te è tutta un’altra cosa. 
- Allora mi credi? .. Non mi hai preso per pazzo? – disse tirando un sospiro di sollievo. 
- Io ti credo .. Ma cosa conti di fare? .. Voglio dire come vuoi comportarti? Rupert si alzò camminando a grandi passi per la stanza, sembrava un leone in gabbia, nei suoi occhi la paura dell’ignoto e la frustrazione dell’impotenza. Nell’aria c’era una strana elettricità, tutto sembrava diverso da quello che era in realtà. Anche l’amico iniziò a sentirsi a disagio, si agitava sulla poltrona senza riuscire a trovare pace. Il sudore freddo gli imperlava la fronte, vi passò una mano sopra certo di avere la febbre, in realtà era freddo come il marmo. Nessuno dei due parlava. Si guardarono perplessi come due persone che non si conoscono e si trovano nella stessa stanza senza saperne il motivo. Erano fermi uno di fronte all’altro quando si alzò un vento fortissimo. Le foglie secche del giardino cominciarono a turbinare in vorticosi mulinelli, le chiome delle querce si piegarono scricchiolando pietosamente e alcune imposte iniziarono a sbattere furiosamente tanto che un vetro della sala in cui erano i due amici si spaccò. Nessuno dei due si mosse, erano come pietrificati. Dal vetro rotto della portafinestra entrò la fanciulla dal vestito rosso. Camminava con una leggerezza incredibile tanto da sembrare che non toccasse nemmeno il pavimento. Si avvicinò ai due uomini. Guardò prima Lord Horn, ma niente in lui la interessò, quindi rivolse la sua attenzione a Lord Rupert. Lord Winston aveva circa una sessantina di anni ma era ancora un uomo piacente, un fisico asciutto e lo splendore dei suoi occhi verdi, belli adesso come quando era giovane. Aveva ancora tutti i capelli, anche se brizzolati e vestiva con sobria eleganza. La fanciulla gli girò attorno con curiosità. Lo confrontò di nuovo con l’amico e alla fine concluse che lui era decisamente più bello. Si toccò l’abito ed i capelli, poi socchiuse gli occhi e fissò Rupert intensamente. Nelle profonde pupille nere si accese una scintilla che divenne sempre più luminosa fino ad illuminare tutta la sua persona. Piano, piano la luce avvolse anche Lord Winston e divenne di un biancore accecante. Quando la pallida luce del sole invernale tornò a primeggiare nella stanza della fanciulla non c’era traccia ed il fortissimo vento era cessato restituendo la calma alle cose.


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